I colori delle colline del Monferrato sono particolarmente gradevoli a settembre, con l’estate che sta andando verso la fine. Colori non solo dei paesaggi ma anche del vino e di alcuni splendidi piatti della cucina piemontese. Sommando tutte queste cose, mi trovo inevitabilmente a Cocconato, piccolo paese in provincia di Asti, che da anni organizza una manifestazione dedicata ai vini del territorio. Quest’anno per la prima volta si parla non solo di Barbera, ma anche degli altri vitigni lì coltivati: il tema è passato dal “Barbera di Cocconato” al “Vigneto di Cocconato”. Bella occasione per me per degustare anche l’Albarossa, un vitigno che amo in modo particolare e di cui voglio raccontarvi la storia, perchè secondo me si tratta di un vitigno dalle grandi potenzialità e che, se ben valorizzato e raccontato, potrà ambire a diventare tra i più grandi rossi piemontesi.
Come è nato l’Albarossa
La storia inizia negli anni ’30: il professor Giovanni Dalmasso, fra i più grandi ampelografi italiani, realizzò degli incroci varietali che furono archiviati in una collezione viticola della regione Piemonte e mai utilizzati. Circa cinquant’anni dopo il professor Mannini, del Cnr di Torino, mise mano a questi incroci ed iniziò a studiarli ed impiantarli: tra questi c’era appunto l’Albarossa
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Mauro Giacomo Bertolli
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